La
didattica autobiografica
Linee guida per un corso di formazione nella scuola
La
parola “autobiografia” non identifica più solo
un genere letterario. Rinvia anche ad una metodologia
che si avvale oggi, dopo vent’anni di studi ed esperienze
internazionali, di teorie, strategie e strumenti destinati alla
crescita e alla cura di sé e degli altri in svariati contesti.
Da quelli universitari, a quelli del lavoro e della promozione delle
culture locali e del benessere individuale, della scuola all’interno
di programmi di educazione del pensiero e dell’intelligenza,
delle emozioni e della reciprocità interculturale, delle
differenze di genere, la formazione autobiografica contraddistingue
sempre più interventi e ricerche i cui motivi prevalenti
riguardano aspetti di natura cognitiva, motivazionale, trasformativa.
Nell’autobiografia
a scuola lo studente viene invitato a raccontarsi non perché
lo si voglia conoscere meglio (il che costituirebbe comunque di
per sé un risultato) ma per aiutarlo - e aiutarci –
a riflettere, a ricostruire e dunque riconoscere come apprende mentre
apprende, come acquisisce le conoscenze. Accade così che
lo studente che racconta e l’insegnante-biografo che ascolta
si trovino entrambi impegnati a far emergere momenti nodali e conflittuali,
aspetti e associazioni inedite o dimenticate, insomma quanto di
sé che spesso blocca il riconoscimento di essere –
da parte dello studente – il protagonista, quindi il responsabile,
colui che costruisce e non semplicemente subisce quel processo formativo
che pur gli appartiene.
Occorre
sottolineare, volendo entrare nel merito delle strategie, che non
sono comunque le tecniche in sé a costituire il metodo autobiografico,
bensì la definizione del contesto e, in particolare, la cura
delle relazioni fra il formatore e il discente.
L’educazione autobiografica comporta sempre un gioco di sguardi
reciproci. Questo dato della relazione assume poi un ruolo determinante
con soggetti giovani e giovanissimi, com’è appunto
il caso della scuola.
Inutile nasconderci come sia proprio la capacità di gestire
la relazione comunicativa ed emotiva con l’altro, a fare spesso
la differenza nella proposizione di un medesimo percorso educativo
autobiografico.
L’autobiografia
nella scuola intende:
* creare occasioni per sviluppare nei ragazzi (tutti) momenti di
consapevolezza e autostima rispetto alla loro identità (di
studenti, di “esseri pensanti”), favorendo l’espressione
a scopo orientativo di interessi, punti di vista, propensioni e
bisogni di apprendimento personali.
* abituarli a prendere la parola, ad ascoltarsi e ad ascoltare gli
altri – a metariflettere – sul rapporto che sentono
di avere con il sapere scolastico e con altre forme di sapere, sui
personali modi di ricordare, capire, imparare: collegando il pensiero
alle emozioni, il vissuto scolastico a quello soggettivo.
* costruire insieme una modalità comunicativa circolare per
imparare ad affrontare le questioni emergenti della classe, la gestione
dei conflitti, l’integrazione delle differenze soggettive,
scoprendo nel gruppo un’occasione di rispecchiamento e di
intercambiabilità della leadership.
* sperimentare la possibilità di “dirsi” attraverso
codici linguistici diversi trasformati da obiettivi da perseguire
negli specifici curricoli - quali sono considerati nell’attuale
organizzazione dei saperi scolastici - in strumenti polisemici per
comunicare e comunicarsi in maniera più ricca e accessibile.
Lavorare
in prospettiva autobiografica modifica significativamente la dimensione
dello sguardo e dell’ascolto, la percezione del compito formativo:
le parole di sé su di sé del ragazzo costringono l’insegnante-autobiografo
a ricercare una “postura pedagogica” fatta di rispecchiamento
e testimonianza. La testimonianza autobiografica (dello studente)
svela il testimone (l’insegnante) e trasforma la relazione.
In tutto questo non c’è nulla di psicologico in senso
stretto: non c’è interpretazione, diagnosi, cura. Semmai
la scoperta che dietro ogni sapere c’è una storia alla
quale difficilmente potrò criticamente accedere, verso cui
facilmente mi demotiverò, senza la possibilità di
accorgermi del sapere che c’è in quella storia che
è la mia.
Se dunque la cura dell’ambiente educativo tende a essere ancora
insufficientemente considerata nella prassi trasmissiva tradizionale,
nella prospettiva autobiografica l’attenzione per il setting
assume per una valenza preponderante. Le possibilità narrative
sono fortemente legate alle scelte procedurali: compiti individuali,
ad esempio, accentueranno la componente prevalentemente introspettiva,
a coppie saranno la mutua interrogazione, l’empatia e la riflessione
a giovarne maggiormente, nelle esercitazioni in cui coinvolto sarà
tutto il gruppo emergeranno con più evidenza le differenze,
la reciprocità del controllo e la moltiplicazione delle attribuzioni
di significato…
Una metafora eccellente per l’insegnante-autobiografo è
certamente quella del “regista”, condizione che evoca
il teatro, con cui non a caso il mondo dell’educazione da
sempre intrattiene un fertile rapporto. Del resto che altro non
è il teatro se non invito allo spettatore ad apprendere quando
gli si mostra sulla scena, ritrovandolo e replicandolo in sé?
L’aula dunque come palcoscenico con i suoi spazi e tempi per
l’azione narrativa, le sue luci e le ombre, le quinte, il
proscenio, il pubblico. L’aula come intreccio di linguaggi,
occasione per affrontare quella frammentazione e divisione dei saperi
da cui siamo partiti in questa breve riflessione.
Non a caso la ricerca autobiografica nella scuola si sta confrontando
con il bisogno di dare vita a un altro “luogo”, poiché
è inimmaginabile che mentre tutto si appresta a cambiare
nella scuola, lo scenario continui a essere quello di un’aula
organizzata secondo rigide fila di banchi e sedie ossequiosamente
orientati verso la cattedra, un’aula di mezzi busti.
Per sua natura, la consapevolezza autobiografica non può
che soffrire di questa menomazione. Nella globalità del suo
porsi di fronte al processo educativo, la storia della mente dello
studente rinvia a un corpo. I bisogni espressivi dei giovani non
possono prescindere da esso e dai suoi codici poiché è
dagli evidenti cambiamenti del corpo di quel tempo della vita che
originano disagi e peculiarità.
Non di rado le difficoltà di apprendimento o di motivazione
alla partecipazione scolastica si strutturano intorno a una mancata
risposta ai messaggi del corpo, a una scarsa sensibilità
e competenza verso quei “canali” che non si riconducono
alle classiche categorie delle logiche linguistica e matematica.
Imparare non tanto a far funzionare le qualità espressive
peculiari dei vari canali (compito a cui già sono delegate
specifiche materie scolastiche), quanto a trasferire contenuti di
sé da un canale all’altro libera risorse aggiuntive
per aiutare a liberare e rilasciare processi di auto-riflessività
altrimenti compromessi. Tutto questo si traduce nella disponibilità
di contesti dove sia possibile che percezioni, sensazioni, immagini,
emozioni, rappresentazioni vengano ri-raccontate, ad esempio, per
il tramite di un disegno, di una forma generata dalla creta, dell’immaginazione
attiva, di un ascolto musicale guidato, di un grande collage, di
una danza collettiva, attraverso giochi di ruolo, improvvisazioni
teatrali, drammatizzazioni, simulazioni, nel contatto con il corpo...
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